Antonio Narra, un umile etnografo di Montecalvo e il suo notevole contributo per la ricerca etnomusicale.
Quando venni a sapere dell’esistenza, in contrada Corsano di Montecalvo Irpino, di alcune musicassette contenenti registrazioni di canti popolari effettuate nella seconda metà del secolo scorso da un certo Antonio Narra, fui assalito dalla stessa frenesia che coglie un archeologo davanti a un nuovo reperto. Prontamente, anche per stabilire un familiare clima di confidenza e fiducia attraverso un riferimento comune, presi contatto con un amico che ben conosceva la famiglia Narra, avendo con essa rapporti di parentela, e di lì a poco ci recammo sul posto. Trovammo ad accoglierci la signora Gina che, con affabile cortesia, ci descrisse sommariamente il contenuto delle audiocassette: “Mio padre registrava di tutto: la sera o nei giorni liberi ci riuniva in casa, e mentre lui suonava l’organetto noi cantavamo; spesso coinvolgeva anche persone del vicinato. Amava collezionare quanti più canti possibile”.
Ritornai sul posto qualche settimana dopo, per pregare la signora di prestarci i supporti al fine di consentirci di studiarne e digitalizzarne il contenuto. Ma ben presto ci accorgemmo che i nastri, a causa dell’usura, non erano più in buono stato. Alcuni erano recisi e tenuti insieme alla meglio con nastro adesivo, tanto da comprometterne il funzionamento; in altri, i lembi della parte tagliata fuoriuscivano dagli appositi spinotti e necessitavano di essere più accuratamente fissati. L’audio risultava spesso ovattato e in alcuni casi era appena udibile; inoltre un fastidioso fruscio disturbava l’ascolto. Occorreva un lavoro certosino ed un minimo di esperienza tecnica per recuperare quelle preziose testimonianze. Fin da subito, mentre operavo, mi resi conto che, al di là della insufficiente qualità audio, ciò che in realtà mi interessava, e cioè il contenuto documentale, era proprio quello che speravo di trovare: il vissuto di una comunità raccontata attraverso i canti popolari e la conferma che alcune composizioni, già da tempo presenti nel mio archivio seppur con trascurabili varianti, fossero realmente autoctone. Per la prima volta trovai anche composizioni eseguite con l’armonica a bocca; tale strumento da noi è detto sunetto. Gli strumenti della nostra tradizione, diversamente dall’entroterra napoletano, non sono molti: oltre al sunetto abbiamo l’organetto, che è lo strumento per eccellenza, detto poi ci sono la fisarmonica, il flauto di canna e le castagnette. Ben tre di questi strumenti sono presenti nelle registrazioni di Narra, oltre, ovviamente, a canti monodici e polivocali.
Quando ancora i nuovi media, specie la televisione, non erano così invadenti e soprattutto non erano ancora diffusi capillarmente, Antonio Narra (l’autore delle registrazioni con la passione per l’organetto) ebbe a suo tempo il grande merito di capire l’enorme potenzialità dei nuovi supporti tecnologici e il ruolo che avrebbero avuto nel rendere materiale, tangibile, quel patrimonio che fino ad allora risultava impalpabile. Grazie ad essi era possibile fissare su nastro magnetico quello che (al momento) era ben nitido nella sua memoria e in quella dei suoi concittadini, per poi trarne godimento riascoltandolo subito o anche dopo decine, se non centinaia, di anni. E ancora, era possibile catturare i fuggevoli minuti di una performance musicale e così fermare il tempo, tramandando ai posteri la propria arte. Narra aveva capito che la nuova tecnologia (nello specifico un registratore a bobina) permetteva di fissare e richiamare i ricordi in maniera assai più pratica ed efficace di qualunque annotazione scritta a penna.
Chissà se ad Antonio, mentre effettuava le proprie registrazioni, fosse mai venuto in mente che nello stesso periodo altri, ben più titolati di lui, stavano facendo la stessa cosa; studiosi che hanno costruito, attraverso saggi e altre forme di divulgazione, l’etnomusicologia italiana. Veri e propri pilastri su cui poggia la recente storia del canto popolare e della cultura orale di ogni regione: Ernesto De Martino, Roberto De Simone, Diego Carpitella e Roberto Leydi, per citarne alcuni. E proprio l’ipotesi che non ne fosse consapevole rende ancor più meritorio il lavoro di Narra. Antonio era in grado di suonare ad orecchio vari strumenti, ma non aveva mai fatto studi da musicologo. Aveva nel sangue i canti e le melodie delle nostra tradizione e non fu distratto dall’invasione della musica pop di provenienza oltreoceanica; la magia dei suoni che sprigionavano il suo organetto o la sua armonica a bocca mal si conciliava con la musica della beat generation. Nella sua mente era ancora vivo il genere musicale di Chiara fontana[1], che proponeva quella musica tradizionale che di lì a poco sarebbe stata soppiantata, soprattutto a causa del boom della televisione, che proponeva scenari musicali di tutt’altro genere: gruppi nostrani di musicisti vestiti in modo eccentrico, con capelli lunghi fino alle spalle (venivano chiamati “capelloni”). Questi si rifacevano alle canzoni dei Beatles o, più in generale, a quel sound definito British invasion, e dimenavano le anche come Elvis Presley. Narra, pur non disdegnando il nuovo, rimaneva legato alle tarantelle e alle serenate di Montecalvo. Niente poteva impedirgli di entrare nelle case degli abitanti del suo circondario per rallegrarne le feste con le sue magnifiche sonate nostrane.
[1] Trasmissione radiofonica ideata da Giorgio Nataletti, dedicata alle tradizioni musicali d’Italia, andata in onda quotidianamente a partire dal 1955 sulla terza rete della Rai. Narra conosceva bene questa trasmissione, che infatti figura tra i suoi appunti.